Di seguito quanto scritto dal filosofo Zygmunt Bauman nel suo libro “dentro la globalizzazione”. Un saggio davvero interessante che dovrebbe essere letto da tutti.
«Oggi sappiamo», scrive Thomas Mathiesen, «che il sistema penale colpisce gli ‘strati bassi’ e non il ‘vertice’ della società». Perché le cose debbano andar così è stato ampiamente spiegato dai sociologi del diritto e delle pene. E ne sono state discusse le numerose cause.La prima tra esse discende dalle intenzioni dei legislatori di operare una selezione: la loro preoccupazione è quella di preservare un certo, specifico, tipo di ordine. È normale che sia più facile sanzionare con il codice penale le azioni che possono essere con più probabilità commesse da persone per le quali quel tipo di ordine non ha posto, dai più deboli e dagli oppressi. Derubare intere nazioni delle loro risorse si chiama «promozione della libertà commerciale»; privare intere famiglie e comunità dei loro mezzi di sostentamento si chiama «taglio all’occupazione», se non «nazionalizzazione». Nessuno dei due tipi di azione è mai stato elencato tra i comportamenti criminosi o comunque punibili.Inoltre, come avrà capito ogni unità della polizia che si occupa di «crimini gravi», è assai difficile individuare le attività illegali commesse al «vertice» e distinguerle nella fitta rete degli affari societari «ordinari» di ogni giorno. Quando si tratta di attività che evidentemente mirano ad arricchire una persona a spese di altri, il discrimine tra mosse permesse e mosse vietate è necessario rimanga mal definito e sempre discutibile – niente che possa invece essere paragonato alla confortante assenza di ambiguità che ritroviamo nella rottura di una cassaforte o nell’effrazione di una porta -. Non meravigliamoci perciò se, come Mathiesen rileva, le prigioni «sono innanzitutto piene di persone appartenenti agli strati più bassi della classe lavoratrice, che hanno commesso furti e altri delitti ‘tradizionali’».I reati «al vertice», abbiamo visto, è difficile definirli, ma lo è altrettanto scoprirli, giacché li si perpetra all’interno di circoli chiusi di persone unite da reciproche complicità, da lealtà verso l’organizzazione ed esprit de corps, gente che di norma sa prendere misure efficaci per individuare, mettere a tacere o eliminare potenziali spie. Il livello di conoscenze giuridiche e finanziarie richiesto è tanto alto che non è virtualmente possibile per dei terzi rendersi conto della realtà delle cose, specie se si tratta di terzi non opportunamente addestrati ed estranei ai campi di attività in questione. E tali atti non hanno «corpo», sostanza fisica; «esistono» nello spazio etereo e immaginario della pura astrazione: essi sono, letteralmente, invisibili; ci vuole un’immaginazione pari a quella dei colpevoli per estrarre una qualche sostanza da forme elusive. Guidato dall’intuizione e dal senso comune, il pubblico può forse sospettare che il furto o la truffa possono aver svolto un ruolo nella storia delle fortune di questi personaggi, ma puntare il dito – lo sappiamo tutti – resta un compito sgradevole.
Zygmunt Bauman “Dentro la globalizzazione”, Laterza Editori, pp. 135, 135.