Cass. pen. Sez. IV, Ord. 27.2.2019, n. 8654.
La Cassazione rimette alle Sezioni Unite il tema relativo alla liceità della vendita dei prodotti derivati della canapa che hanno un tasso di THC superiore allo 0,2%.
Sul tema sussiste una grande incertezza che non rende certo appetibile gli investimenti nel settore da parte di imprenditori; ciò costituisce una perdita di opportunità per l’intera nazione che non attraversa certo un periodo di crescita.
L’incertezza trova riscontro nell’esistenza di due differenti orientamenti giurisprudenziali.
Andando con ordine occorre in primis chiarire che la disciplina del settore della coltivazione, ma più in generale, quello che riguarda l’intera filiera della canapa è regolata dalla legge 3 dicembre 2016 n. 242, che ha il fine di promuovere e diffondere nel sistema produttivo italiano l’uso della canapa e nello specifico della Cannabis Sativa L.
Il Legislatore ha avuto come fine quello di incentivare la filiera nazionale della canapa, settore nel quale non molto tempo fa l’Italia era uno dei maggiori produttori.
Il primo articolo della esaminanda norma delinea l’ambito di applicazione della stessa, statuendo che: “si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina di stupefacenti e sostanze psicotrope, previsione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al D.P:R. 9 ottobre 1990, n. 309”.
Tale articolo è di fondamentale importanza poiché colloca pacificamente la coltivazione della canapa al di fuori dell’ambito di applicazione del D.P.R. 309/90, meglio noto come testo unico in materia di stupefacenti.
Le piante di cannabis, invero, contengono, sia il chemiotipo CBD (cannabidiolo) che è usato per scopi terapeutici e agroindustriali, sia il chemiotipo THC (delta-9-tetraidrocannabinolo), che caratterizza le varietà destinate a produrre fiori con effetto stupefacente.
Le legge 242 del 2016 regola la percentuale di THC presente nella pianta, affinché la produzione di canapa resti nell’ambito consentito dalla legge.
La produzione che rientra nel limite di 0,2% di THC è senza alcun dubbio legale e l’agricoltore ha diritto ad i benefici economici erogati in favore del settore, sempre che la pianta rientri nelle varietà di cui è consentita la coltivazione.
In ogni caso fino alla percentuale di 0,6% di THC non sussiste alcuna responsabilità a carico dell’agricoltore.
Una delle tematiche rimesse alle Sezioni Unite della Cassazione attiene proprio l’ambito di applicazione dell’esenzione e, nello specifico, se essa può essere estesa dal coltivatore al commerciante al dettaglio.
Sussiste, dunque, un indirizzo più restrittivo che sostiene l’applicabilità della disciplina della legge 242 del 2016 nei confronti del solo agricoltore, restando sottoposta al regime del Testo Unico degli stupefacenti le condotte di detenzione e cessione dell’hashish e della marijuana, quali derivati della cannabis sativa L, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevante.
Altro indirizzo, ad avviso dello scrivete più convincente, sostiene che lo scopo della legge 242 del 2016 è quello di promuovere la filiera agroalimentare della canapa, ed è rivolta tanto ai produttori quanto alle aziende di trasformazione.
In sostanza, dalla liceità della coltivazione deriva anche la liceità dei prodotti con contenuto di THC inferiore allo 0,6%, i quali non possono essere considerati (a fini giuridici) sostanza stupefacente, poiché privi di potere psicotropo.
Alla luce di quanto sopra esposto le Sezioni Unite sono state chiamate a fare chiarezza sul tema relativo alla detenzione, cessione e vendita di derivati della cannabis provenienti dalle coltivazioni contemplate dalla L.242 del 2016 e sulla disciplina applicabile alla fattispecie.
Certo è che un settore economico in forte espansione e che ha visto come protagonisti molti giovani, subisce continuamente battute di arresto, a causa di una legge forse frutto di un compromesso e che rischia di non accontentare nessuno.
Giuseppe LIBUTTI
Avvocato in Roma