Ci scrivono ogni giorno tanti lavoratori che, pur avendo ricevuto la busta paga dal proprio datore di lavoro, lamentano la mancata corresponsione degli importi ivi indicati.
Si tratta di un caso molto comune, non scevro da insidie sotto il profilo della tutela processuale, sul quale si è dovuta pronunciare la giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni fornendo un quadro interpretativo più chiaro della normativa in vigore.
Cosa fare.
In primo luogo occorre avere copia del proprio contratto di lavoro e copia del prospetto di pagamento relativo allo stipendio non corrisposto.
Al riguardo, recente e consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “[…] in materia di retribuzione, il prospetto paga ha natura di confessione stragiudiziale, sicché, giusta gli artt. 2734 e 2735 c.c., ha piena efficacia di prova legale, vincolante quanto alle indicazioni ivi contenute […]” (Cass. civ. Sez. Lav. Sent. n. 2239/2017).
Tale documentazione costituisce prova documentale del rapporto di lavoro in ragione del quale è insorto il credito vantato e dell’importo da escutere.
Quindi che fare? Una volta scaduto il termine di pagamento, bisogna procedere con una diffida ad adempiere.
Successivamente, se si è in possesso di idonea documentazione si può avviare un procedimento monitorio ex art. 633 c.p.c. per la rapida escussione del credito vantato, e così vedere soddisfatte le proprie pretese in termini ragionevoli.
Diversamente, qualora le somme dichiarate dal datore di lavoro siano errate, ovvero in assenza di busta paga, occorrerà avviare un ordinario procedimento di cognizione finalizzato all’accertamento del credito.
Attenzione all’importo da escutere.
L’accertamento e la liquidazione del credito spettante al lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo sia delle ritenute fiscali, sia di quella parte delle ritenute previdenziali gravanti sul lavoratore (cfr. Cassazione 14 settembre 2015 n. 18044).
Avv. Giuseppe LIBUTTI Dott. Michele TROTTA