Secondo un provvedimento del Tribunale di Roma non si può chiedere la riduzione del canone di locazione se non si sono impugnati i DPCM.
Di recente ha stimolato un grande dibattito l’ordinanza del 16 dicembre 2020 della Sesta Sezione del Tribunale Civile di Roma.
È utile chiarire in primo luogo che detta sezione si occupa principalmente di materia locatizia.
La premessa è doverosa al fine di esplicitare che il provvedimento in questione è un’Ordinanza emessa a conclusione di una fase sommaria (come da rito) e come tale non è idonea a definire il giudizio, ma anzi è destinata a perdere efficacia con la Sentenza di merito tra le parti destinataria dell’Ordinanza stessa.
Occorre partire dalla situazione di fatto relativa alla questione di specie che è riassumibile come segue.
Il proprietario di un immobile si rivolge al tribunale per ottenere la convalida di uno sfratto per morosità e chiede la contestuale emissione del decreto ingiuntivo per la somma pari ad € 256.200,00.
Il conduttore si è opposto all’intimazione in base all’assunto che la grave pandemia ha desertificato il centro storico, ed in particolare il calo di fatturato della società affittuaria in relazione allo stesso periodo dell’anno precedente è stato del 72,72%.
Di conseguenza viene richiesta una riduzione del canone di locazione in relazione al calo di fatturato.
Fin qui i fatti.
Al fine di fugare ogni dubbio anche rispetto alla pubblicità che è stata data a detto provvedimento, la prima domanda che dobbiamo porci è: può il Giudice Ordinario dichiarare incostituzionali norme aventi valore legislativo?
La risposta è NO.
Il giudicato in questione fa stato solo tra le parti.
Il Giudice Ordinario, infatti, può disapplicare una norma che ritiene in contrasto con la normativa costituzionale, ma non può egli dichiararla incostituzionale, prerogativa che spetta alla Corte Costituzionale.
Come scritto, il provvedimento in questione è motivato, ma non sempre le conclusioni cui giunge il Giudice sono condivise da chi scrive.
Per motivare la propria decisione il giudicante muove dall’assunto che l’esistenza di un’emergenza sanitaria non è di per sé condizione impediente in termini assoluti.
Il Giudice per motivare il proprio provvedimento asserisce che la situazione del caso di specie è differente dal caso di scuola relativo al crollo dell’immobile a seguito di terremoto poiché nella fattispecie che lo riguarda “in via astratta, ogni attività umana avrebbe potuto continuare a svolgersi regolarmente anche nel periodo di emergenza sanitaria, con la sola differenza che il soggetto interessato avrebbe corso il rischio di contrarre il virus (così come in modo diverso il conducente che si pone alla guida accetta il rischio di essere coinvolto in un incidente mortale causato da altri, ipotesi che nella moltitudine dei casi è statisticamente certa)” (pagg. 3 e 4 Ordinanza) .
Non è chiaro, nel leggere queste parole, se per il giudicante il rischio di contrarre il virus sia il medesimo in termini probabilistici e di accettazione del rischio a quello di incorrere in un incidente stradale mortale, dovuto ad altri, mettendosi alla guida della propria autovettura.
Non è dato sapere, quindi, né come il Giudice possa essere giunto a tali dati statistici, né come possa affermare che i dati menzionati siano “statisticamente certi”, posto che nella Scienza statistica tale assunto non è minimamente contemplato.
Risulta, quindi, evidente secondo chi scrive l’opinabilità dei dati da cui muove l’ordinanza in questione.
Di seguito viene statuito che la limitazione dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti nel periodo in questione è derivata non dell’emergenza sanitaria in sé ma dall’adozione di provvedimenti (normativi ed amministrativi) censurabili dal punto di vista costituzionale.
Il Giudice prosegue nel proprio ragionamento interrogandosi, quindi, sulla legittimità dei DPCM.
Nel farlo riporta le autorevoli opinioni di emeriti della Corte Costituzionale e la giurisprudenza del giudice di Pace di Frosinone.
Il Giudice conclude sul punto statuendo che il danno lamentato dal conduttore moroso non è dovuto all’emergenza sanitaria ma deriva dai provvedimenti della pubblica amministrazione (tra cui i DPCM) che il conduttore avrebbe dovuto impugnare.
Viene asserito che i DPCM sono illegittimi perché sprovvisti del potere necessario per imporre limitazioni ai diritti costituzionalmente garantiti.
Di conseguenza, la mancata opposizione agli atti illegittimi rende l’inadempimento attribuibile al conduttore.
La domanda che si pone chi scrive è la seguente: anche nel caso in cui il conduttore avesse impugnato ogni singolo provvedimento, ciò avrebbe evitato il calo di fatturato lamentato?
Ciò a dire, se il singolo impugnasse i DPCM ciò incoraggerebbe le persone a recarsi al negozio in questione?
È evidente che alla domanda non vi è una risposta univoca, ma probabilmente il quesito merita di essere approfondito.
In ogni caso, per il Giudice in questione il conduttore avrebbe l’onere di impugnare i provvedimenti amministrativi (da ora in poi) data l’illegittimità (secondo il giudicante) degli stessi e la certezza che egli sembra avere che il giudice amministrativo li dichiarerebbe illegittimi.
Dopo aver affrontato l’ambito costituzionale, il Giudice statuisce che al conduttore non è mai consentito di astenersi dal pagamento del canone o ridurlo in maniera unilaterale e richiama la Sentenza Cassazione del 26.8.2016 n. 198987, ed inoltre asserisce che l’emergenza sanitaria in questione rientra nel normale rischio di impresa.
Detto provvedimento si pone in contrasto con un precedente orientamento anche della Sezione in questione che disponeva la riduzione del canone in ragione della percentuale di diminuzione del fatturato.
Così non è stato per il Giudice de quo, il quale ha concesso l’ordinanza di rilascio ed ha disposto la prosecuzione del giudizio nel merito con prossima udienza il 15.9.2021.
Nel frattempo, il conduttore è tenuto al rilascio dell’immobile a far data dal 16.3.2021.
Brevissime considerazioni.
In primo luogo, secondo il Giudice della Sesta sezione, da oggi in poi al conduttore che vorrà far valere le proprie pretese non resta che impugnare i provvedimenti governativi.
infine, sono fermamente convinto che il dato positivo della vicenda sia da ritrovarsi nel fatto che nelle aule di Tribunale si torni a parlare di primazia costituzionale e non posso non auspicare che ciò possa accadere sempre, e nel caso di specie, trattandosi di sezione dedicata alle locazioni, anche in riferimento al diritto all’abitare ed alla sua tutela costituzionale.
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