È necessario partire dalle disposizioni che regolano – si badi bene tutt’ora – la disciplina anagrafica nonostante il decreto c.d. Renzi-Lupi.
Le norme sono principalmente due: la Legge 1228 del 1954 e il D.P.R. n. 223/89 che ne è intervenuto in modifica.
L’art. 1 del D.P.R. n. 223/89 ci dice che nell’anagrafe “sono registrate le posizioni relative alle persone e alle famiglie che hanno fissato nel comune la residenza”.
Da allora si sono succedute numerose circolari del Ministero dell’Interno che confermano quanto su scritto, in conformità con l’art. 43 del c.c., il quale ribadisce che la residenza è uno stato di fatto.
Uno stato di fatto cui corrisponde un obbligo per ciascuno di richiedere l’iscrizione anagrafica.
Da quanto detto emergono due punti fermi:
1) l’anagrafe è un registro dove vengono raccolte le dichiarazioni di residenza;
2) la dichiarazione di residenza è una semplice doverosa denuncia di una situazione di fatto.
In questo quadro si è prima inserita la Legge n. 35 del 2012 (della quale si attende ancora il regolamento di attuazione), la quale ha introdotto la nuova fattispecie della “irricevibilità” della dichiarazione anagrafica, che si ha quando la dichiarazione stessa manca di uno dei dati contrassegnati con asterisco.
Successivamente è stata introdotta la Legge 80/2014 di conversione del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (c.d. decreto Renzi-Lupi) che ha trasformato la residenza da situazione di fatto a fattispecie giuridica della quale fare richiesta alle autorità.
Questa premessa è necessaria per motivare la forte perplessità alla richiesta di applicazione del comma 1 quater dell’art. 5 della suddetta legge.
Al primo punto (neanche a farlo a posta) delle violazioni costituzionali perpetrate dal piano casa Renzi-Lupi c’è proprio il comma 1 quater, in quanto tale disposizione adotta una ferrea disciplina contro i cosiddetti occupanti abusivi di immobile e dall’altro ammette deroghe “per ragioni igieniche” soltanto per persone minorenni o meritevoli di tutela ed anche per i fornitori che succedono ad altri fornitori.
Come se le ragioni igienico sanitarie non esistessero per le persone adulte prive della possibilità di un alloggio e come se l’interesse di un fornitore di servizi avesse una rilevanza costituzionale maggiore delle esigenze igienico sanitarie.
È evidente che proprio il comma 1 quater si oppone all’art. 3 della Costituzione, in quanto contrasta con il principio di ragionevolezza e non contraddittorietà.
In altri termini, la norma in commento costituisce una pericolosa deroga ai principi costituzionali, anche nella parte in cui prevede una clausola di salvaguardia per alcuni soggetti arbitrariamente definiti fragili per poi conservare la propria forza prescrittiva per tutti i cittadini non rientranti nelle fragilità individuate dal legislatore.
È per tali ragioni che richiedere il rispetto della deroga prevista dall’art. 5 costituisce un grave autogol.
Infatti ciò vorrebbe dire abbandonare una posizione di critica integrale della disposizione incriminata, finalizzata al suo completo superamento, per ripiegare su una acritica battaglia perpetrata in difesa solo di alcuni.
Con il duplice risultato di suffragare l’operatività della norma discriminatoria e creare fratture nel campo di coloro che, senza distinzioni, dovrebbero essere destinatari di politiche universali per la tutela del diritto alla casa.
Fermo quanto sopra, una proposta di applicazione del comma 1 quater dell’art. 5 può acquisire una sua utilità solamente nell’ottica di una regolamentazione transitoria e a fronte dell’impegno del Sindaco di portare le istanze di abrogazione dell’articolo 5 del piano Casa Renzi Lupi presso L’ANCI, il Parlamento ed il Governo.
Quanto sopra detto potrebbe rappresentare un riconoscimento solo temporaneo di “concessione” parziale dei diritti, in vista dell’integrale abrogazione di una normativa discriminatoria e incostituzionale.