Con la recente sentenza n. 6821/2022 del 3.8.2022 il Consiglio di Stato ha avuto modo di censurare ancora una volta la condotta di Roma Capitale nell’ambito dell’annosa questione delle riacquisizioni degli immobili comunali in autotutela.
Il caso oggetto di controversia verteva su un immobile abusivamente occupato di proprietà di Roma Capitale e afferente al patrimonio disponibile, il quale era stato oggetto di una determina dirigenziale di riacquisizione della disponibilità del 2003 in dichiarata esecuzione di una ordinanza sindacale di sgombero emessa nel 1992.
Dopo una prima pronuncia di rigetto della impugnazione della suddetta determina da parte del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la ricorrente ha spiegato appello dinanzi al Consiglio di Stato.
In tale occasione il Consiglio di Stato, in accoglimento della impugnazione avanzata, nel riformare la sentenza del giudice di prime cure, ha avuto modo confermare alcuni importanti principi di diritto più volte sanciti dalla giurisprudenza.
In primo luogo la Sentenza in commento ha ribadito che Roma Capitale non può riacquisire la disponibilità dei beni immobiliari afferenti al patrimonio disponibile mediante l’esercizio di poteri di autotutela esecutiva in quanto tale potere può essere esercitato solamente per i beni afferenti al patrimonio indisponibile categoria cui si estendono i poteri amministrativi di autotutela che l’art. 823 comma 2 Cod. civ. prevede per i beni demaniali. Corollario ne è che la controversia in tale caso riguarda posizioni di diritto soggettivo e dunque la giurisdizione è del Tribunale ordinario (come più volte accertato dai nostri ricorsi)
– Per maggiori dettagli in materia: Il giudice civile è il giudice competente a valutare la legittimità della riacquisizione in autotutela: ecco i casi – (studiolegalelibutti.com) –
Fermo quanto sopra, il Consiglio di Stato ha comunque ritenuto di doversi pronunciare limitatamente alla legittimità della determina dirigenziale, con specifico riferimento alla ascrivibilità o meno dell’immobile in questione al patrimonio indisponibile.
Sul punto la sentenza di appello ha osservato che l’autotutela possessoria avente ad oggetto un bene appartenente al patrimonio indisponibile (fattispecie che il Tar ha ritenuto qui sussistente) discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini a uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine (tra tante, Cons. Stato, V, 12 febbraio 2020, n. 1123; VI, 29 agosto 2019, n. 5934; IV, 30 gennaio 2009, n. 513; Cass. Civ., Sez. un., 25 marzo 2016, n. 6019; 28 giugno 2006, n. 14685; II, 16 dicembre 2009, n. 26402; 9 settembre 1997, n. 8743).
Se da un lato l’onere di dimostrare in giudizio i fatti che costituiscono il fondamento dell’esercizio del potere di autotutela esecutiva incombe, ex artt. 2697 e 823 comma 2 Cod. civ., in capo all’amministrazione che tale potere abbia esercitato (Cons. Stato, VI, n. 5934/2019, cit.), è stato rilevato che, per la giurisprudenza, la mancanza di tale secondo elemento deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilità (Cass. civ., II, II, 26 novembre 2020, n. 26990; 16 dicembre 2009, n. 26402; Sez. un. 3 dicembre 2010, n. 24563).
Nel caso di specie, dunque, il Consiglio di Stato ha accertato la non ascribilità del bene occupato al patrimonio indisponibile per assenza del requisito oggettivo.
Infatti, se l’ordinanza sindacale menzionata può rappresentare una manifestazione di volontà idonea ad integrare il requisito soggettivo, è stato osservato che il bene abusivamente occupato dall’appellante non risulta essere stato mai oggetto di una effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio. Segnatamente, le parti resistenti, non hanno mai dimostrato l’esistenza di provvedimenti idonei a imprimere al bene una attuale destinazione di interesse pubblico.
Secondo il Consiglio di Stato, tale requisito oggettivo non può neanche essere rappresentato da una destinazione pubblica “de futuro” in quanto esso deve essere attuale e concretamente esistente (Cons. Stato, V, n. 1123/2020, cit.; 6 dicembre 2007, n. 6259, che richiama Cass. Civ., Sez. un., 26 giugno 2003, n. 10157 e Cass. Civ., II, 9 settembre 1997, n. 8743; Cass. Civ., Sez. un., 3 dicembre 2010, n. 24563).
E’ stata pertanto accertata l’insussistenza nella fattispecie dei presupposti per il ricorso all’autotutela possessoria amministrativa attivata con la impugnata determina dirigenziale del 2003.
Redazione dello Studio legale Libutti Trotta & partners
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