La vicenda in questione vede coinvolti l’Agenzia del Demanio, Poste Italiane e la Capitaneria di Porto.
Nello Specifico Poste Italiane aveva ricevuto dal Demanio la consegna di un’area di demanio pubblico marittimo per la costruzione di un edificio da adibire ad ufficio postale.
Successivamente, la Capitaneria di Porto e l’amministrazione delle Poste stipularono una convenzione ai sensi della quale quest’ultima ottenne a titolo gratuito l’area demaniale e l’edificio su di essa costruito, al fine di svolgere il servizio pubblico postale.
Le problematiche sorgono in seguito al mutamento della natura giuridica dell’Amministrazione di Poste in Società per azioni Poste Italiane S.p.A., ragione per la quale la capitaneria di porto e l’Agenzia del Demanio ritennero venute meno le condizioni per l’utilizzo del bene demaniale ai sensi dell’art. 34 c.n. e 36 reg. esec. del medesimo codice.
In conseguenza di ciò è stato richiesto a Poste Italiane S.p.A. il canone di locazione derivante dall’abusiva occupazione dell’area ed il rilascio del bene.
La società per azioni nei propri scritti difensivi asseriva che il bene in questione sarebbe divenuto di sua proprietà ed in subordine che conservava il diritto al suo utilizzo gratuito, poiché il bene era utilizzato per una chiara funzione pubblicistica.
Le amministrazioni convenute in giudizio (Agenzia del Demanio, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Capitaneria di Porto) contestavano le pretese avversarie ed evidenziavano che un bene del demanio marittimo poteva perdere le proprie caratteristiche solo in seguito al procedimento indicato dall’art. 35 c.n.
In egual modo il D.L. n. 487 del 1993, art. 6 nulla poteva prevedere in ordine al trasferimento degli immobili dall’ente economico Poste Italiane alla nuova società di capitali, non potendo disporre in ordine ai beni mai entrati a far parte del patrimonio della società per azioni.
Ciò rendeva evidente l’occupazione abusiva da parte di Poste italiane S.p.A..
Il giudice di prime cure statuiva che detto bene di proprietà demaniale non era stato illegittimamente occupato dalla società attrice, in quanto ella lo utilizzava per perseguire un servizio pubblico postale in conformità alla convenzione stipulata.
Tuttavia, a seguito della privatizzazione delle poste, divenuto soggetto con fini lucrativi, sarebbero venute meno le condizioni imposte dall’art. 34 del codice della navigazione e dell’art. 36 del reg. esec., per tale ragione sussisterebbe un credito in favore del Ministero dei trasporti, derivante dalla mancata corresponsione dei canoni di locazione dovuti per il godimento dell’immobile.
Avverso tale decisione veniva proposto appello.
La Corte d’Appello adita in parziale riforma della Sentenza di primo grado accertava il diritto di Poste Italiane all’utilizzo del bene in questione e che Poste Italiane non era tenuta a corrispondere alcun canone concessorio in favore del competente Ministero.
La Corte adita riteneva che nella fattispecie in questione sussistevano le condizioni di cui all’art. 34 c.n. e art. 36 reg. esec. C.n. per l’utilizzo gratuito del bene appartenente al demanio marittimo.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione.
Diritto
Poste Italiane impugnava la Sentenza per un unico motivo, a mente del quale in forza della Legge n. 71 del 1994 e della Legge n.448 del 1998, sono entrati a far parte del patrimonio di Poste Italiane S.p.A. tutti quei beni immobili iscritti nei propri registri ufficiali, nei quali rientra il bene in questione.
La Suprema Corte ritiene infondato il motivo.
Viene in primo luogo richiamata la giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale la sdemanializzazione può verificarsi (in via di principio) anche tacitamente, ed in assenza di un formale atto di declassificazione, purché vi siano atti che dimostrino in maniera inequivocabile la volontà dell’ente di sottrarre il bene a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino.
La Suprema Corte afferma che il provvedimento sul passaggio dei beni dal demanio al patrimonio, disciplinato dall’art. 829 c.c., ha carattere semplicemente dichiarativo (CASS. 22.4.1992, n. 4811; CASS. 4.3.1993 n. 2635; CASS. 19.2.2007, n. 3742).
Il principio su menzionato, però, non è valido per i beni del demanio marittimo, conseguenza ne è che tali beni non possono essere sdemanializzati tacitamente, ma è richiesto in conformità dell’art. 35 c.n., un provvedimento amministrativo formale che ha carattere costitutivo (CASS. 5.8.49, n. 2231; CASS. 6.5.1980, n. 2995; CASS. 14.3.1985, n. 1987; CASS. 2.3.2000, n. 2323).
Conseguentemente, solo ove gli organi amministrativi preposti accertino cessata l’idoneità del bene appartenente al demanio marittimo agli usi specifici della demanialità marittima, e gli organi amministrativi esprimano tale volontà, solo allora si determina il trasferimento dell’area con efficacia costitutiva dal demanio al patrimonio (art. 829 c.c.).
Pertanto, va ribadito il principio di diritto – costantemente affermato da questa Corte suprema e condiviso dal Collegio – secondo cui, a differenza di quanto previsto dall’art. 829 c.c. (secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente), per i beni appartenenti al demanio marittimo la sdemanializzazione non può mai avvenire in forma tacita (“per facta concludentia”), ossia per non essere il bene più adibito all’uso pubblico, ma può avvenire solo in forza di una legge ovvero mediante un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa.
Ciò implica che né la legge 553 del 1994 di approvazione del rendiconto dell’amministrazione autonoma delle Poste, né la legge n. 448 del 1998, art. 40, avrebbero potuto mutare (in favore di Poste Italiane S.p.A.) la titolarità dell’immobile in contestazione.
Di conseguenza, i Supremi giudici rigettavano il Ricorso proposto da Poste Italiane S.p.A.
Giuseppe LIBUTTI
Avvocato in Roma