IL SOLE 24 ORE
Patente, riabilitazione con tempi incerti
La sentenza del Tar del Veneto n.393 del 15 aprile 2016 aggiunge un’ulteriore puntata all’intricata questione di come vada calcolato il periodo di tre anni in cui chi subisce la revoca della patente per infrazioni legate a droga o ebbrezza grave non può candidarsi a conseguire una nuova licenza di guida. Quindi non è ancora pacifico se si debba partire dalla data in cui è stato contestato l’illecito (come afferma la sentenza) o da quella in cui è passata in giudicato la relativa sentenza di condanna. Non solo: la pronuncia tocca anche la questione della competenza a giudicare su fatti del genere, rimettendo in discussione l’orientamento che pareva recentemente consolidato secondo cui competente sarebbe il giudice ordinario e non quello amministrativo.
La vicenda su cui ha deciso il Tar trae origine da un incidente causato da guida in stato di ebbrezza, avvenuto il 29 giugno 2012. Il responsabile venne condannato, con decreto penale diventava definitivo il 1° ottobre 2015.
In casi di questo tipo, il Codice della strada, all’articolo 219, prevede che consegua la revoca della patente, con il divieto di conseguirne una nuova per tre anni a decorrere dalla «data di accertamento del reato». Il Tar del Veneto ha aderito alla tesi già data a suo tempo dall’ufficio del Massimario della Cassazione (relazione del 3 agosto 2010), secondo cui conta la data in cui l’organo di polizia rileva l’illecito. Ma resta “forte” anche l’orientamento secondo cui conta la data di passaggio in giudicato della sentenza di condanna, recentemente recepito anche da una circolare del ministero delle Infrastrutture e trasporti (la n. 18817 del 31 agosto) sulla base di una non trascurabile giurisprudenza.
L’incertezza è amplificata da un altro dubbio, su una questione dirimente: su questi casi è competente il tribunale amministrativo o il giudice ordinario? Secondo una prima tesi, confortata da dal Consiglio di Stato e dalle Sezioni unite della stessa Cassazione, lo è la magistratura ordinaria, perché alla base di una domanda volta a richiedere l’illegittimità di un provvedimento di diniego della patente c’è un diritto soggettivo.
Questa posizione, espressa compiutamente dal Consiglio di Stato nella sentenza n.235 del 25 gennaio 2016 (peraltro a conferma dell’orientamento di diversi Tar), è ripresa dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti sempre nella circolare n. 18817 del 31 agosto scorso. Con essa, il ministero confidava di aver risolto il problema della giurisdizione e indicava ai diversi uffici competenti, in caso di impugnazioni al Tar sul rigetto della domanda di riconseguimento della patente, di eccepire il difetto di giurisdizione, in favore della competenza del tribunale ordinario.
Il Tar del Veneto ora si pone in contrasto col Consiglio di Stato, sulla base di argomentazioni tutt’altro che trascurabili:
la titolarità della patente costituirebbe un interesse legittimo e non un diritto soggettivo;
la circolazione stradale è regolamentata a tutela della sicurezza pubblica, «espressione del principio costituzionale della tutela della salute», trascendendo così l’interesse individuale;
lo stesso rilascio della patente, che è soggetto a discrezionalità tecnica, confermerebbe la natura di interesse legittimo.
Ciò stato poi subito riconfermata dal medesimo Tar (sentenza 12 settembre 2016, n. 1014). S.Sc.