Quanto emerge dalla lettura dell’informazione provvisoria n. 15 della Suprema Corte di Cassazione rende il quadro normativo ancora più confuso.
Infatti, se da un alto viene statuito che la commercializzazione dei prodotti derivati della cannabis sativa L non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, dall’altro viene stabilito che non rientra nell’ambito del D.P.R. 309/90 (T.U. Stupefacenti) la cessione di prodotti privi di efficacia drogante.
Resta da chiedersi, quindi, quale debba essere la normativa di riferimento.
In attesa di leggere le motivazioni, e quindi, comprendere l’iter logico giuridico che ha portato a tale conclusione è opportuna una breve riflessione.
La prima è che l’incertezza in ordine all’applicazione della normativa sembra essere aumentata.
Ciò potrebbe tradursi in una preoccupante discrezionalità lasciata agli operanti di polizia che sono chiamati ad agire sul campo.
Ciò contrasta con i principi costituzionali riconosciuti all’interno del nostro Ordinamento, rischiando di limitare in modo non consentito l’iniziativa economica privata (Art. 41 Cost.).
Quello che si può affermare (in attesa di leggere le motivazioni) è che si tratta dell’ennesima occasione persa per disciplinare e garantire un settore in forte espansione e che fornisce opportunità di investimenti e di lavoro a numerose persone.
Quanto su scritto, unito al fatto che la cannabis sativa l non è una droga ma è una pianta industriale (per espressa previsione normativa nazionale e sovranazionale), è opportuno che le leggi di riferimento tengano conto di tale fattore.
In questo contesto storico caratterizzato da una forte crisi economica non possiamo permetterci di perdere opportunità di investimenti e di lavoro unicamente sulla base di pregiudizi.
Giuseppe LIBUTTI
Avvocato in Roma