Utilizzo sempre più ridotto. E l’amministrazione finanziaria opta per la trasformazione
Studi di settore in pensione
Da strumenti di accertamento a indicatori di compliance
Da “Italia oggi sette”
Roma– La lenta eutanasia degli studi di settore. Dopo un declino inesorabile del loro utilizzo in accertamento l’amministrazione finanziaria ha deciso finalmente di staccare la spina e trasformarli in meri indicatori di compliance. L’accertamento induttivo principe andrà definitivamente in pensione. La sostituzione degli studi di settore avverrà tramite un processo graduale le cui tappe sono state illustrate dall’amministrazione finanziaria (SoSe ed Agenzia delle entrate) durante la riunione della commissione degli esperti tenutasi lo scorso 7 settembre a Roma. L’indicatore di compliance (questo è per adesso il nome attribuito allo strumento che sostituirà gli studi di settore) è un dato sintetico che fornisce, su scala da uno a dieci, il grado di affidabilità del contribuente. Se il dato sintetico che verrà attribuito al contribuente è elevato quest’ultimo avrà accesso al sistema premiale che prevede una serie (invero piuttosto limitata) di benefici fra i quali l’esclusione da alcuni tipi di accertamento e una riduzione di un anno del periodo di accertabilità da parte del fisco.
Stando alle prime indicazioni, il nuovo indicatore assomiglia molto a una evoluzione degli studi di settore più che a un vero e proprio nuovo strumento. Basta analizzare il percorso metodologico sulla base del quale tale strumento verrà costruito per capire che non siamo di fronte ad una rivoluzione copernicana, ma alla semplice constatazione di una realtà palesatasi orami già da alcuni anni, ovvero che gli studi di settore non svolgono più alcuna funzione accertativa bensì un semplice ausilio alla selezione delle posizioni da sottoporre ad accertamento.
Il nuovo indicatore di compliance si limita a ribaltare questa funzione degli studi di settore trasformandoli da strumenti di selezione a giudizio sull’affidabilità del contribuente. Per avere conferma di quanto detto basta analizzare le prime indicazioni fornite dall’amministrazione finanziaria in ordine ai criteri sulla base dei quali il nuovo indicatore verrà costruito.
Il punto di partenza sarà costituito dall’attività economica svolta dal contribuente in maniera prevalente, con la previsione di specificità per ogni attività o gruppo di attività. La costruzione dell’indicatore si baserà su di una metodologia statistico-economica innovativa che prende in considerazione tutta una serie di elementi, tra i quali gli attuali indicatori di normalità economica che diventeranno indicatori per il calcolo del livello di affidabilità, il valore aggiunto ed il reddito d’impresa che si andranno ad aggiungere al livello dei ricavi. Il modello di regressione dei nuovi indicatori di compliance sarà basato su dati relativi a una pluralità di annualità (8 in luogo dell’attuale 1) garantendo così più informazioni e stime più efficienti in grado di cogliere l’andamento ciclico senza la necessità di predisporre ex post specifici correttivi congiunturali (gli attuali correttivi crisi). Sempre secondo le prime indicazioni, questa nuova metodologia di individuazione dei modelli organizzativi consentirà la tendenziale riduzione del numero, una maggiore stabilità nel tempo e assegnazione più robusta al cluster.
Dunque il punto di partenza dell’operazione sarà costituito ancora una volta dai dati strutturali dell’attività economica da sottoporre a valutazione. Seguiranno poi una serie di calcoli basati su variabili macroeconomiche e di settore che individueranno valori soglia per una serie di indicatori di riferimento da confrontare poi con i dati effettivi dichiarati dal contribuente. Il posizionamento dei dati effettivi dichiarati dal contribuente con i valori soglia individuati per il suo specifico settore di attività e contesto economico faranno il resto. Invece di un responso in termini di congruità dei ricavi dichiarati lo strumento darà un «voto» sull’affidabilità fiscale del contribuente. Niente di nuovo sotto il sole dunque.
Studi di settore, una morte fin troppo annunciata. Basta esaminare la serie storica che evidenzia l’utilizzo degli studi di settore come strumento di accertamento delle Pmi e dei lavoratori autonomi, per rendersi conto che gli studi di settore avevano esaurito ogni loro utilità già da alcuni anni.
I dati del 2015 forniti dalla Corte dei conti indicano in 8.149 gli accertamenti eseguiti dall’Agenzia delle entrate facendo ricorso alle risultanze degli studi di settore. Se si considera che la platea dei contribuenti soggetti agli studi è di circa 4 milioni di contribuenti suddivisi fra persone fisiche, società di persone e di capitali, ci si rende conto della pressoché totale assenza di rischio di subire un accertamento di questo tipo da parte dei soggetti non congrui alle risultanze di Gerico. Il fallimento degli studi di settore viene ovviamente da lontano e può essere contestualizzato con gli anni 2008-2009 (quelli, tanto per intenderci, delle famose sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione). Nel giro di pochi anni il crollo degli accertamenti da studi di settore è stato praticamente verticale. Dai circa 73 mila accertamenti del 2008 si è passati ai 17 mila del 2011 con una riduzione di circa l’80%. Nonostante ciò gli studi di settore costituiscono ancora un pesante fardello del quale i contribuenti sono costretti a sopportarne l’inutile peso.
Anche quest’anno infatti in allegato al modello Unico 2016 tutti i contribuenti ai quali si applicano gli studi di settore devono inserire i modelli dati previsti per la loro attività economica. Oltre ai tempi di compilazione del modello vanno messi in conto anche i rischi di errore, sempre possibili vista la quantità di dati richiesti e la pressoché totale assenza di istruzioni alla compilazione (per lo meno per quanto riguarda tutta la parte dei dati strutturali del modello). Rischi di errore che ogni anno danno luogo a centinaia di lettere di compliance in partenza dall’Agenzia delle entrate con le quali si invitano i contribuenti alla correzione o all’inserimento di dati mancanti o incompleti, nei modelli degli studi di settore dagli stessi presentati. Tutte attività che i dati in pagina relativi alla reale valenza accertativa degli studi di settore, dimostrano come praticamente inutili. Contestualmente all’annuncio della trasformazione degli studi di settore da strumenti di accertamento a indicatori di compliance, l’Agenzia delle entrate ha diffuso la bozza dei modelli da allegare alla prossima dichiarazione dei redditi Unico 2017. Tali modelli si caratterizzano per una minore quantità di dati e informazioni richieste ai contribuenti proprio a dimostrazione della fase transitoria e di passaggio che gli studi di settore vivranno nell’immediato futuro.
L’auspicio è che per la costruzione del nuovo indicatore vengano richieste ai contribuenti un numero di informazioni estremamente più ridotte e semplici rispetto a quelle attuali necessarie per i calcoli del software Gerico. Se così non fosse, visto anche gli scarsi vantaggi offerti ai soggetti che raggiungeranno punteggi elevati in termini di nuovo indicatore di compliance, si potrebbe correre addirittura il rischio di rimpiangere gli studi di settore.
Scritto da Andrea Bongi