Le recenti politiche abitative risultano in genere permeate da una “nuova” tendenza.
L’idea dei c.d. piani casa è quella di rilanciare l’attività edilizia per favorire la ripresa economica perseguendo allo stesso tempo la soluzione della grave crisi abitativa sofferta da larghe fasce di popolazione.
Questa doppia funzione è stata da alcuni enfatizzata come un punto di forza, ovvero coniugare la doppia natura del bene casa quale “bene sociale” e quella di “bene economico”.
Per altri ha rappresentato la causa di un nuovo fallimento dell’edilizia residenziale pubblica dovuta alla scarsità dei meccanismi di controllo predisposti, che vengono lasciati alla successiva attuazione dei programmi.
Il piano casa Renzi Lupi L. 80/2014 rubricato “misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzione e per Expo 2015” si pone in questa prospettiva e si muove nell’ottica della liberalizzazione degli interventi per il recupero di alloggi, eventualmente anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, con lo scopo di favorire la ripresa economica attraverso l’attività edilizia.
Nel quadro così descritto il mio intervento si concentra su una delle misure contenute nel “piano casa Renzi-Lupi”, ovvero sull’art. 5.
La norma in questione è rubricata “lotta all’occupazione abusiva di immobili”, ed esprime un chiaro disvalore sul fenomeno delle occupazioni abitative, che viene ridotto a mera emergenza criminale e, di conseguenza, affrontato esclusivamente come questione di ordine pubblico, negando le enormi ricadute sociali che esso comporta.
Al contrario, il diritto all’abitare rientra a pieno titolo nel novero dei diritti costituzionali e, di conseguenza, genera in capo ai pubblici poteri obblighi positivi, per i quali lo Stato (ma non solo) è tenuto a mettere in atto ogni politica economica, urbanistica e sociale necessaria per garantire il godimento dei diritti fondamentali.
La linea dura del Governo Renzi segnava il punto di arrivo di un percorso politico già intrapreso precedentemente, il quale, in nome dell’austerity, ha progressivamente eroso le risorse destinate alle politiche di inclusione sociale.
Le ricadute più gravi della norma analizzata sono sul tema della residenza e dell’iscrizione anagrafica, che non è consentita a coloro che occupano abusivamente un immobile. In alcuni casi, Roma ne è un esempio, si è proceduto anche alla cancellazione dal registro anagrafico per coloro che non sono stati in grado di dimostrare un titolo idoneo che giustifichi la permanenza nell’immobile stesso.
Al riguardo è doveroso premettere che la residenza si sostanzia in una dichiarazione, tra l’altro obbligatoria per il cittadino, di informare lo Stato circa il luogo in cui si intende porre la propria residenza abituale.
In sostanza, vi è l’interesse per lo Stato di conoscere la residenza dei propri cittadini ed è incontroverso che la funzione dell’anagrafe è quella di registro della popolazione residente.
Detto ciò non si può perdere di vista la valenza costituzionale della residenza e del fatto che ad essa sono legati una serie di diritti garantiti: il diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto al voto (art. 48 Cost.), il diritto all’istruzione (art. 34 Cost.), il diritto all’abitare (art. 47 Cost.), il diritto alla libera circolazione (art. 47 Cost.) e tanti altri.
Di conseguenza, negando l’iscrizione anagrafica si nega l’accesso ai più elementari diritti garantiti.
Vi sono ulteriori risvolti negativi posto che la norma finisce anche per avere un effetto contrario a quello voluto se si pensa che l’iscrizione anagrafica nel Comune di residenza costituisce requisito per l’accesso alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Conseguenza ne è il fatto che coloro che vivono in condizioni di abusività per la mancanza di soluzione abitativa alternativa, entrano per effetto del c.d. piano casa Renzi-Lupi in una spirale dalla quale non usciranno più, con l’impossibilità perpetua di accedere all’edilizia residenziale.
Due conclusioni finali:
1) il tema casa non può più essere affrontato come un tema emergenziale, o peggio ancora di ordine pubblico, poiché costituisce un problema strutturale del nostro paese e che, come tale, necessita di essere affrontato in maniera organica.
2) La difesa di una presunta legalità, se non è affiancata da politiche economiche e sociali che garantiscono l’effettività dei diritti fondamentali, finisce per negare la sua stessa essenza e si risolve nella negazione dei diritti previsti e garantiti dalla Costituzione.