Quella che all’inizio sembrava una via stretta, si è rivelata una strada maestra. Dopo le centinaia di ricorsi presentati alla Commissione ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, e la pedissequa richiesta di sospensiva da parte dell’Organo adito, sono tantissimi gli sfratti che sono stati sospesi dai Tribunali di tutta Italia. E il recente intervento in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha cambiato la situazione, palesando anzi l’inadeguatezza della normativa italiana sul diritto all’abitazione.
Ma andiamo con ordine. Il caso nasce nell’ambito dei procedimenti di esecuzione forzata per il rilascio degli immobili, procedure che, come noto, seguono le azioni di sfratto e che sono regolate dagli artt. 605 e ss. del c.p.c. In altri termini, la normativa italiana prevede che a seguito di provvedimento giudiziale che dispone il rilascio di un immobile, il titolare di tale diritto può avviare l’esecuzione forzata mediante un ufficiale giudiziario il quale, anche mediante l’ausilio della forza pubblica, provvede a sgomberare l’immobile.
Può subito notarsi che la suddetta disciplina non prevede in alcun modo l’adozione complementare di misure atte a garantire il diritto all’abitazione anche alle persone e ai nuclei familiari indigenti e dunque incapaci di trovare una soluzione alternativa.
La circostanza non è una mera lacuna normativa, ma rappresenta una violazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia. E infatti, tutti gli Stati membri dell’Unione Europea (UE) hanno ratificato i trattati internazionali e le convenzioni che riconoscono e proteggono esplicitamente il diritto all’abitazione: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 25), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (art. 11), la Convenzione sui diritti dell’infanzia (art. 27), la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (artt. 14 e 15) e la Carta Sociale Europea, nel testo riveduto (in specie artt. 16, 30 e 31). Anche la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza), pur non dedicando specifiche disposizioni al diritto all’abitazione, tendono per approssimazione agli stessi standard di tutela degli altri atti internazionali menzionati, grazie all’impegno delle rispettive Corti.
Malgrado il massiccio riconoscimento giuridico apprestato formalmente, sul piano del diritto internazionale e sovranazionale, il diritto all’abitazione è in realtà scarsamente tutelato in quanto rimasto per lungo tempo privo di una vera tutela reale.
E’ in questo contesto che si è collocata l’iniziativa giudiziaria di alcune associazioni di categoria, come l’Unione Inquilini, che ci ha visto in prima linea nella difesa dei diritti dei cittadini.
In particolare, l’occasione si è palesata a seguito della ratifica da parte dell’Italia del Protocollo opzionale al Patto sui diritti economici, sociali e culturali avvenuta con legge 3 ottobre 2014, n. 152. Con tale misura l’Italia ha investito il Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali del potere di ricevere comunicazioni, anche a titolo individuale, che lamentino una violazione di uno qualsiasi dei diritti economici, sociali e culturali esposti nel Patto (art. 2). Non solo, ai sensi dell’art. 5, nel caso siano lamentati potenziali danni irreparabili contro i diritti di persone vulnerabili, il Comitato, prima ancora di decidere nel merito, può disporre in via d’urgenza alle autorità di adottare la sospensione temporanea di provvedimenti esecutivi come gli sfratti.
Ne è seguito un ampio contenzioso promosso da moltissimi cittadini che, dinanzi a provvedimenti esecutivi di rilascio dell’immobile, privi di ogni soluzione alternativa, hanno investito il suddetto Comitato lamentando la violazione del diritto all’abitazione ai sensi dell’art. 11 del PIDESC. A tali iniziative, il Comitato ha più volte dato seguito, sussistendone i requisiti oggettivi e soggettivi, ravvisando profili di illegittimità nella condotta delle autorità italiane, e chiedendo la sospensione degli sfratti. Sicché numerosi procedimenti esecutivi, anche seguiti dal nostro, sono stati sospesi in quanto i giudici aditi hanno deciso di adeguarsi ai provvedimenti del Comitato, disponendo l’integrazione del contraddittorio con la Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di verificare le modalità con le quali il governo italiano intende rispettare gli obblighi internazionali assunti.
La questione ha assunto rapidamente una portata internazionale. In sostanza, anche alla luce della presa di posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri mediante l’Avvocatura generale, è possibile sintetizzare le diverse posizioni assunte dal Comitato, dai magistrati italiani e dalla Presidenza del Consiglio, sulla base dei seguenti nodi giuridici:
- – Da un lato i cittadini ricorrenti e le associazioni di categoria, il Comitato e molti giudici italiani, hanno ritenuto che le decisioni assunte sulla base dell’art. 5 del Protocollo sottoscritto dall’Italia, vincolano il nostro Paese a tutti i livelli di governo ad adottare misure che garantiscano il diritto all’abitazione e che proteggano i soggetti incapienti dal rischio di venire sfrattati senza alcuna alternativa.
- – Dall’altro lato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è costituita in alcuni dei suddetti giudizi affermando che “le determinazioni dell’Alto Commissario e del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali non sono vincolanti” e che esse “non hanno valenza giurisdizionale”. Essa ha altresì chiesto la prosecuzione dei procedimenti forzati di liberazione degli immobili interessati sul presupposto che il diritto invocato dai ricorrenti non sarebbe azionabile nell’ambito dei rapporti interni con i rispettivi proprietari degli immobili. Sicché la Presidenza ha affermato che il potere di sospendere l’esecuzione “spetterebbe tutt’al più allo Stato-governo/amministrazione” e non al giudice investito del procedimento di esecuzione forzata. A nostro avviso la posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri non coglie nel segno. Essa infatti ignora il valore sub-costituzionale delle norme, così come trascura l’estensione a tutti i livelli di governo e a tutti i poteri dello Stato degli obblighi assunti dall’Italia nell’ambito dei trattati internazionali, ivi inclusi quelli di rispettare, anche nei procedimenti giudiziari, le decisioni di organi giurisdizionali o semi-giurisdizionali sovrastatali, come nel caso di specie. Alla luce delle suddette considerazioni non resta che attendere le decisioni dei Giudici aditi, nella convinzione che la strada del contenzioso volto a garantire la effettività dei diritti sociali, ed in particolare del diritto all’abitazione, abbia aperto nuovi orizzonti da perseguire con determinazione. Ciò non solo sul piano giudiziario, bensì anche sul piano politico. La pressione esercitata mediante le molteplici azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’applicazione del PIDESC e il riconoscimento del diritto all’abitazione è destinata ad avere risvolti politico istituzionali. La condanna dell’Italia per la violazione di norme contenute nei trattati ha più volte dimostrato di produrre un effetto propulsivo e di porre al centro dell’agenda delle forze politiche la questione del diritto all’abitazione. Scritto da Avv. Giuseppe Libutti e Avv. Michele Trotta
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