Il prossimo 12 agosto la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e nello specifico sul ricorso presentato dal Senatore De Falco.
Le prerogative lese attengono l’ammissione da parte della Presidenza del Senato e dell’aula della votazione di fiducia chiesta dal Governo sull’articolo unico di conversione Decreto-Legge 20 aprile 2020 n. 26 “Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020”.
La procedura referendaria in questione riguarda la modifica di ben tre articoli della Costituzione, il 56, 57 e 59 ed ha ad oggetto la riduzione del numero dei parlamentari da 630 a 400 per quel che riguarda la Camera dei Deputati e da 315 a 200 dei seggi elettivi per quello che concerne il Senato della Repubblica.
Le ragioni del Senatore De Falco risiedono nel fatto che egli in qualità di Parlamentare in carica rappresenta la Nazione, cioè il Popolo, cui appartiene la sovranità, che (il popolo) esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Il Parlamentare in carica è un potere dello Stato, che deve esercitare le sue funzioni con “disciplina e onore” (art. 54 c.2. Cost.) e che, come tutti i cittadini, ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi (art. 54 c. 1 Cost.).
Nello specifico, il Senatore De Falco è stato gravemente menomato nelle sue prerogative con violazioni di norme costituzionali e regolamentari che mirano a tutelare la funzione che egli esercita.
La possibilità per il singolo parlamentare di ricorrere in funzione di potere dello Stato è stata formalmente riconosciuta dalla Corte Costituzionale con l’Ordinanza n. 17/2019; restano da individuare le fattispecie concrete.
Nel caso esposto dal Senatore De Falco la prima violazione consisterebbe nell’avere posto in votazione con voto di fiducia l’articolo unico di conversione in legge del D.L. 26/20, con il risvolto pratico di non rendere esaminabili e approvabili nel merito tutte le parti aggiunte mediante emendamento modificativo o soppressivo delle disposizioni originarie di commi o articoli aggiuntivi.
Detta violazione assumerebbe una connotazione ancora più grave ove si consideri che si versa in materia costituzionale ed elettorale.
Si tratta di una tristissima “prassi” – che non dovrebbe in alcun modo trovare accoglimento nel nostro ordinamento – che ha un precedente nei tre voti di fiducia alla Camera in relazione alla legge elettorale n. 52/15 (mai applicata perché parzialmente annullata con la Sentenza n. 35/17 della Corte Cost.) ed un altro negli otto voti di fiducia (3 alla Camera e 5 al Senato) su articoli della legge elettorale n. 167/2017 con la quale si sono svolte le elezioni parlamentari del marzo 2018.
Inoltre, l’approvazione di leggi elettorali con diretta incidenza su materia costituzionale (quale quella dell’art. 138 Cost.) non può avvenire con Decreto Legge perché vietato dal disposto dell’art. 72 comma 4 della Costituzione.
Queste in breve le ragioni poste a fondamento delle violazioni e prerogative del parlamentare De Falco.
Le violazioni che attengono il merito della consultazione referendaria per i giorni 20 e 21 settembre, in coincidenza con altre votazioni in 7 Regioni, sono davvero molteplici.
Basti pensare che con il taglio dei parlamentari – ma sarebbe più corretto parlare di taglio del Parlamento – vengono a modificarsi le maggioranze previste per atti fondamentali, quali la revisione della Costituzione e tra essi anche la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica o della sua stessa forma di Governo.
Su quest’ultimo punto si evidenzia che ciò non costituisce un’ipotesi remota, ma tutt’altro, essa è attuale ed al riguardo è già stato depositato un testo proposto dal Senatore Quagliariello (A.S. n. 214).
La gravità è evidenziata anche dalla sussistenza di una legge elettorale il cui voto non è uguale: il voto per lista non coalizzata non produce alcun effetto se inferiore al 3% dei voti espressi, mentre se in coalizione è sufficiente l’1%; il voto non è neanche libero, in quanto è previsto il voto congiunto obbligatorio tra lista plurinominale e candidati uninominali a pena di nullità.
Il voto, infine, non è neanche personale poiché le liste plurinominali sono bloccate.
Vi è inoltre una violazione dell’art. 3 della Costituzione e del principio di uguaglianza che si sostanzia nella circostanza che il taglio del Senato in Trentino-Alto Adige è del 14% a fronte di un taglio del 40% in Calabria, del 59% in Sardegna e del 57% in Umbria e Basilicata, solo per elencare alcune disparità.
La Corte, quindi, sarà chiamata in primo luogo a decidere sull’ammissibilità del conflitto proposto dal Senatore De Falco (conflitto teoricamente ammesso dall’Ord. 17/2019) ove ritenga che le prerogative riservate al senatore siano state lese da una procedura parlamentare che non ha rispettato la Costituzione ed i regolamenti, ed in caso di esito positivo pronunciarsi sul merito della consultazione referendaria.