Nel libro “La democrazia e i suoi limiti” Sabino Cassese dimostra che la democrazia è nella migliore delle ipotesi una formula generica dietro la quale si nascondono realtà alquanto diverse e molto spesso poco democratiche.
Sono questi gli interrogativi che l’Autore solleva.
È democratico un regime in cui vige la regola del consenso e basta il dissenso di pochi a impedire l’approvazione di una regola desiderata dalla maggioranza?
È democratico uno Stato in cui il Parlamento non è eletto dalla maggioranza dei cittadini elettori, ma dalla minoranza più forte?
È democratico uno Stato che ricorre frequentemente ai referendum, quando e ormai evidente che la consultazione è molto spesso soltanto un plebiscito sulla persona che ne è promotrice?
È democratico un movimento politico che affida alla Rete e ai suoi a umori la soluzione di questioni che richiedono il contributo di persone esperte e competenti?
Non è tutto. E più democratico eleggere i giudici, reclutarli per concorso, come accade nella maggior parte delle democrazie europee, o affidarne la nomina al capo dello Stato?
Nel commentare il volume, Sergio Romano osserva che Cassese conosce i limiti della democrazia. Ha assistito a fenomeni che hanno dato risultati alquanto diversi da quelli previsti e auspicati. La proliferazione delle sedi in cui si fanno regole e leggi ha ridotto notevolmente i poteri del governo e dell’amministrazione. La democrazia, nelle sue manifestazioni più rivendicative, ha creato una crescente domanda di giustizia che ha avuto l’effetto di aumentare, a scapito dell’esecutivo, governo, i poteri dei procuratori, dei tribunali amministrativi e della stessa Corte costituzionale. Come ricorda Cassese, un grande studioso inglese, Walter Bagehot, ha scritto che la principale prerogativa della Camera dei Comuni era la elezione del premier. L’Italia repubblicana non ha mai avuto un premier e, a giudicare dall’esito dell’ultimo referendum, sembra decisa a non averlo.
Tratto da ANAI