Una recente ordinanza della Corte di Cassazione è intervenuta sul tema del compenso spettante all’amministratore di una società.
La suprema Corte ha affermato che sussiste la possibilità per la società di far valere, l’eccezione di inadempimento, in relazione alla violazione degli obblighi assunti dall’amministratore.
Questa pronuncia della Corte si inserisce in un acceso dibattito giurisprudenziale vertente sul rapporto di immedesimazione organica e sulla conseguente disciplina del nesso tra adempimento dei doveri e diritto al compenso.
Segnatamente, come noto, le sezioni unite erano più volte intervenute nell’affermare il principio a mente del quale l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è assimilabile, […] né ad un contratto d’opera (in questo senso, cfr. già Cass. 22046/2014), né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato (Cass. 14369/2015)” (Cass. Sez. Un. 1545/2017).
Detto orientamento ha avuto una prima applicazione pratica in chiave processualistica ai fini del riparto di competenza tra giudice del lavoro e sezione specializzata in materia di impresa, ove si è sancito che il rapporto intercorrente tra la società di capitali ed il suo amministratore è di immedesimazione organica e ad esso non si applica l’art. 409 c.p.c. comma 1, n. 3, con la conseguenza che vanno attribuite alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa, ai sensi del D.Lgs. n. 168 del 2003, art. 3, comma 2, lett. a), tutte le liti che vedano coinvolti la società ed i suoi amministratori.
Non vi è possibilità, quindi, di poter distinguere fra quelle liti che riguardino l’agire degli amministratori nell’espletamento del rapporto organico ed i diritti che, sulla base dell’eventuale contratto stipulato con la società, siano stati da quest’ultima riconosciuti a titolo di compenso (cfr. Cass. 2759/2016, 13956/2016).
Sotto un distinto profilo, è stato affermato che, non trovando applicazione l’art. 36 della Costituzione, è legittima la previsione statutaria di gratuità delle funzioni svolte dall’amministratore (cfr. Cass. 285/2019).
Le suddette statuizioni in merito alla qualificazione del rapporto tra amministratore e società non consentono, tuttavia, di collocare tale rapporto giuridico al di fuori della disciplina dei contratti.
In questo senso, già le numerose sentenze menzionate avevano più volte avuto modo di osservare che “non è escluso, però, che s’instauri, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera” (Cass. Sez. Un., 1545/2017).
Sulla scia dell’arresto delle Sezioni Unite, ancor più di recente la prima sezione della Suprema Corte ha ulteriormente legittimato l’inquadramento contrattualistico del rapporto in commento statuendo che “l’amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli”, e ha espressamente precisato “che, secondo i principi del sistema vigente, quello di amministratore di società è contratto che la legge presume oneroso (cfr., la norma dell’art. 1709 c.c. e art. 2389 c.c.)” (v. Cass. 24139/2018).
È dunque in tale contesto che assume una specifica importanza la pronuncia della Corte di Cassazione, 20 ottobre 2021, n. 29252.
In tale pronuncia il Supremo Collegio è stato chiamato a decidere sulla legittimità della eccezione di inadempimento sollevata dalla società contro la quale l’amministratore aveva agito per il pagamento del compenso per l’attività svolta, e ha definitivamente dedotto che: “può dirsi che il diritto al compenso origina autonomamente nell’ambito del rapporto di immedesimazione organica – proprio del contratto associativo […] dando vita ad un diverso rapporto, non formalmente contrattuale ma di tipo contrattuale, in seno al quale è ravvisabile un nesso sinallagmatico di corrispettività con gli obblighi che l’amministratore medesimo deve osservare in base alla legge e all’atto costitutivo, i quali, se violati, ne
generano la responsabilità (anche) verso la società, ai sensi degli artt. 2476, 2485 e 2486 c.c..”
Di tal guisa, una volta riscontrata, nei termini sopra esposti, una relazione di tipo
contrattuale e di natura corrispettiva (sia pure originata all’interno di un rapporto di natura associativa) tra il diritto al compenso dell’amministratore di società e l’obbligo da egli assunto di rispettare i doveri posti dalla legge e dal contratto sociale (statuto e atto costitutivo), non può non discenderne l’applicazione delle regole dettate dal codice civile in punto di responsabilità del debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (art. 1218 c.c.) e di possibilità per il debitore di sollevare l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), la quale include anche quella di inesatto adempimento, in corrispondenza delle due figure della exceptio inadimpleti o non rite adimpleti contractus.
In conclusione, la sentenza in commento ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere in via di eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità di tipo contrattuale ex art. 2476 c.c., comma 1, non venendo in rilievo, a tali fini, il rapporto societario di immedesimazione organica esistente, verso l’esterno, tra amministratore e società, bensì il nesso sinallagmatico, tipico del rapporto contrattuale, intercorrente tra il corretto svolgimento dell’attività di gestione
dell’impresa e la maturazione del diritto al compenso in capo all’amministratore medesimo”
(Corte di Cassazione, 20 ottobre 2021, n. 29252).