Una recente pronuncia del Tribunale di Roma in materia di promessa di pagamento
fornisce occasione per chiarire ancora una volta i contorni di un istituto giuridico che ha conosciuto un constante contrasto giurisprudenziale.
Come noto, l’articolo 1988 c.c. disciplina due istituti tra loro molto simili: la ricognizione di debito e la promessa di pagamento.
La ricognizione di debito consiste in una dichiarazione di fatti sfavorevole al
dichiarante: secondo la dottrina maggioritaria essa è una dichiarazione di scienza con la quale un soggetto riconosce di avere un debito nei confronti di un altro soggetto.
La promessa di pagamento è, invece, una dichiarazione di volontà: essa consiste,
quindi, nella mera promessa di effettuare una certa prestazione.
I due istituti oggetto del commento non hanno effetti sostanziali, ma operano
esclusivamente sul piano processuale, dispensando il creditore dall’onere di provare il rapporto fondamentale.
La giurisprudenza ha chiarito, infatti, che entrambe le figure non costituiscono
un’autonoma fonte di obbligazione, ma hanno soltanto un effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale. Ne consegue che, qualora venisse meno
l’efficacia di tale rapporto (giudizialmente), sia la ricognizione di debito, sia la promessa di pagamento verrebbero caducate di conseguenza. Si deve concludere quindi che i vizi del rapporto sovrastante si riflettono sul riconoscimento di debito e sulla promessa di pagamento.
Massime:
“La promessa di pagamento, consistendo in una dichiarazione unilaterale recettizia, non integra una fonte autonoma di obbligazione ma ha effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, comportando soltanto l’inversione dell’onere della prova dell’esistenza di quest’ultimo, sicché è destinata a perdere efficacia qualora la parte da cui provenga dimostri che il rapporto medesimo non sia stato instaurato, o sia sorto invalidamente (Tribunale di Roma, sez. XVII, sentenza 25.05.2022, n. 8286)”.
“La ricognizione di debito ha effetto confermativo di un preesistente rapporto
fondamentale, determinando l’astrazione processuale della “causa debendi”, con la
conseguenza che il destinatario è dispensato dall’onere di provare l’esistenza e la validità del predetto rapporto, che si presume fino a prova contraria; essa, però, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, presupponendo pur sempre l’esistenza e la validità del rapporto fondamentale, con la conseguenza che la sua efficacia vincolante viene meno qualora sia giudizialmente provato che tale rapporto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento relativo al rapporto fondamentale, che possa comunque incidere sull’obbligazione oggetto del riconoscimento.
Pertanto, nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in virtù di un titolo esecutivo che comporta una ricognizione di debito (nella specie, un assegno bancario), incombe all’opponente l’onere di provare i fatti che tolgono valore al riconoscimento, ivi compreso l’inadempimento del creditore procedente, qualora mediante l’opposizione sia stata
proposta domanda di risoluzione per inadempimento del rapporto fondamentale”. (Cass. Civ. sez. III, 15.05.2009, n. 11332)”.
“La promessa di pagamento ha il solo effetto di sollevare il promissario dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e deve essere, oltre che esistente, valido. Ne consegue che essa è priva di effetti se si accerti giudizialmente che il rapporto non è sorto, è invalido o si è estinto” (Cass. Civ., sez. III, sentenza, 16.09.2013, n. 21098).
“Il riconoscimento e la ricognizione di debito, che ai sensi dell’art. 1988 c.c. costituiscono dichiarazione unilaterale recettizia, non rappresentano una fonte autonoma di obbligazione, ma hanno soltanto un effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale. Pertanto, affinché la dichiarazione unilaterale, con la quale ci si riconosca debitori, possa spiegare i suoi effetti, è necessario che sia rimessa direttamente dall’obbligato al creditore, senza intermediazioni e vi sia lo specifico intento del primo di costituirsi debitore del secondo, da ciò conseguendo la sua efficacia nel momento in cui venga a conoscenza del promissario la volontà del mittente di obbligarsi nei suoi confronti.
Ne deriva che nessuna presunzione può sussistere a beneficio del preteso promissario nel caso in cui la ricognizione ed il riconoscimento del debito siano avvenuti per interposta persona, restando irrilevante che il documento che li contenga venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del presunto creditore (Tribunale di Teramo, sentenza 13.01.2021, n. 26)”.