BREVI NOTE SULLA DELIBERAZIONE di ROMA CAPITALE N. 140 DEL 30 APRILE 2015
(Foto di Stefano Sbrulli)
Come è noto, la Deliberazione si poneva l’obiettivo di riordinare il Patrimonio immobiliare comunale indisponibile dato in concessione ad Associazioni operanti nel sociale, senza fini di lucro, nelle forme più svariate, dall’assistenza ai malati di SLA, agli Asili nido, alle Aule studio, ai Centri di distribuzione dei pacchi alimentari, ai centri anti usura e via dicendo.
Come mezzo al fine veniva disposta la riacquisizione dell’intero Patrimonio indisponibile pubblico, da intendersi come “bene comune”, senza alcun sia pure esiguo regime transitorio che consentisse una non traumatica cessazione delle attività delle Associazioni e durante il quale si potesse articolare una miglior disciplina.
Oggi, a distanza di due anni, una parte del patrimonio è stato liberato e si trova in stato di grave degrado da abbandono mentre ROMA CAPITALE “vàluta” (in contraddizione con la Deliberazione in oggetto) l’eventualità di un passaggio degli immobili al patrimonio disponibile, con conseguente applicazione del regime locatizio ordinario e messa a reddito degli immobili.
Disciplina giuridica del Patrimonio indisponibile nel Codice Civile e nella successiva elaborazione Giurisprudenziale
I beni non facenti parte del Demanio ed appartenenti ad un ente pubblico vengono denominati beni patrimoniali e tra questi si può operare una distinzione in beni disponibili e in beni indisponibili, vedi art. 828 c.c..
I beni disponibili non sono immediatamente e direttamente destinati a soddisfare esigenze di raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente.
Quelli indisponibili (art. 826 – 828 c.c.) sono destinati ad un pubblico servizio e, pertanto, non possono essere sottratti alla loro destinazione, salvo che nei modi prescritti dalle leggi amministrative.
Occorre dar conto che per elaborazione giurisprudenziale l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale si stabilisce in relazione alle caratteristiche funzionali ed oggettive del bene stesso, presupponendo non solo che il bene sia di proprietà del Comune, ma anche una sua concreta destinazione dello stesso ad un servizio di pubblica utilità. (Cass. 16.12.2009 n. 26402; Cass. 9.9.1997 n. 8743).
La distinzione tra patrimonio disponibile ed indisponibile assume rilievo in relazione al regime giuridico applicabile ai rapporti con soggetti terzi, poiché nelle ipotesi di patrimonio indisponibile la Pubblica amministrazione non è dotata di poteri autoritativi, con conseguente giurisdizione civilistica sul rapporto al di là del nomen juris prospettato dalle Parti.
Altro aspetto, che non ha in alcuna considerazione la natura (disponibile o indisponibile) del bene è quello relativo al Patrimonio inteso come “Bene Comune”.
Quest’ultima categoria ha origine nel 2007, quando con Decreto del Ministro della Giustizia una commissione di Tecnici, presieduta dal Prof. RODOTA’ fu investita dell’onere di redigere un disegno di legge per la riforma delle norme del Codice Civile sui beni pubblici, mai modificato dal 1942.
Il progetto era volto a superare la disciplina sistematica dei beni codificata nel Codice Civile (e che vedeva contrapposto il patrimonio indisponibile a quello disponibile) in favore di tre “nuove” categorie: beni comuni, beni pubblici e beni privati.
Tralasciando le categorie dei beni pubblici e beni privati, poiché qui non interessano, i beni comuni sono tutti quei beni che esprimono utilità all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. Titolari dei beni comuni, posti fuori commercio, possono essere sia persone giuridiche pubbliche che private.
E’ di dominio pubblico il grande fermento suscitato da tale nuova categorizzazione, e Roma ha costituito, per diversi anni, la base per la sperimentazione (teatro Valle) di tale impostazione e per lo studio di tale disciplina con il supporto di autorevoli costituzionalisti (RODOTA’, MADDALENA, AZARITI, solo per citarne alcuni).
Risultano evidenti, sulla base di quanto sin qui riportato, le contraddizioni in diritto della Deliberazione n. 140, sia in relazione alla distinzione oggi presente nel Codice tra beni indisponibili e beni indisponibili, sia rispetto al contrasto col concetto di “beni comuni”.
In primo luogo si è detto che è necessario considerare l’aspetto economico relativo al patrimonio indisponibile, ma tale considerazione è incompatibile con la normativa codicistica, per la quale i beni indisponibili non hanno la funzione di creare reddito per l’Amministrazione proprietaria ma hanno lo scopo di consentire servizi alla cittadinanza, e proprio per tale ragione sono inalienabili ed impignorabili.
Ancor più evidentemente contraddittorio risulta il richiamo alla categoria dei “beni comuni”, assolutamente confliggente con quella che vede la divisione in patrimonio disponibile e non.
Vi è una differenziazione di merito poiché con il patrimonio bene comune vengono poste al centro le persone e non i patrimoni, in una visione costituzionalmente orientata del codice civile che pone i cittadini quali soggetti attivi nella gestione del patrimonio in conformità con l’art. 118 u.c Cost…
Amministrazioni virtuose (Bologna, Torino), di eterogeneo colore politico hanno sviluppato regolamenti di riordino del Patrimonio, basandosi sulla categorizzazione proposta dalla commissione RODOTA’ e quindi riconoscendo valore sociale oltre che giuridico al “bene comune”.
Ciò ha di conseguenza riportato al centro della scena i cittadini che in forma associativa utilizzano il patrimonio pubblico per offrire ai concittadini servizi che il sistema di welfare, ormai ridotto all’osso in Italia, non riesce più a garantire.
Inutile dire che il prezzo di tali attività non è quantificabile in termini economici proprio perché di valore assoluto socialmente; per di più in ogni caso in grado di consentire un risparmio alle casse cittadine conseguente al valore dei servizi delle Associazioni cittadine in sostituzione di quelli dovuti dalla Pubblica amministrazione.
E’ poi il caso di ricordare che le Determine dirigenziali di riacquisizione sono state inviate a tutte le Associazioni, nessuna esclusa e se davvero fossero state tutte eseguite ad oggi a Roma non esisterebbe più alcuna forma di assistenza sociale.
Il tutto in un quadro di dies irae del tutto assurdo, atteso anche che sono numerosissimi i beni che non risultano correttamente censiti, tanto che nel programma di governo per ROMA CAPITALE (indirizzo web http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma/2014/12/emergenza-abitativa-diritto-allabitare-e-gestione-patrimonio-di-roma-capitale.html) si leggeva e si legge – al primo punto – il nuovo Censimento del Patrimonio immobiliare della Città successivamente alla gestione operata dalla ROMEO GESTIONI S.p.A.
Censimento indispensabile proprio come punto di partenza per l’assegnazione del patrimonio pubblico o sarebbe più corretto dire dei “beni comuni”, poiché l’obiettivo da perseguire, così come da piano programmatico della stessa Delibera 140, è quello di fare di Roma una città inclusiva, partendo anche da un’ attenta ricognizione delle attività esercitate sul territorio dalle Associazioni, oggi vittime dei provvedimenti di sfratto-sgombero cui è conseguita l’ ineludibile cessazione delle loro fondamentali, utili e benefiche attività, purtroppo ignorate e/o conculcate da entrambe le Amministrazioni succedutesi in tanti anni.
Sembra quindi auspicabile che il gravissimo, ingiusto danno fin qui arrecato da questa Deliberazione n. 140 del 2015, iniqua e contraddittoria, venga dunque a cessare il suo proprio accrescimento ed estensione ad ulteriori soggetti-Associazioni: e lo scopo sarà raggiunto soltanto con l’annullamento della Delibera stessa, motivato come fin qui detto, e la riscrittura di una nuova deliberazione che tenga conto in primo luogo delle esigenze dei cittadini e delle evoluzioni pratiche della disciplina in tema di patrimonio pubblico: sul modello di quanto già fatto a Bologna ed anche Torino, quest’ultima peraltro città amministrata dalla stessa area politica M5S, che amministra Roma.
Giuseppe LIBUTTI
Avvocato in Roma