DA: IL SOLE 24 ORE
Enti di previdenza. La spettanza scatta con il versamento della provvista
Casse, il diritto al credito con l’investimento «reale»
Le Casse di previdenza e i fondi pensione integrativi beneficiano, dal 2015, di un credito d’imposta commisurato ai proventi assoggettati alle ritenute e imposte sostitutive che siano reinvestiti nelle attività a carattere finanziario a medio e lungo termine individuate dall’articolo 2 del decreto del ministro dell’Economia e delle finanze del 19 giugno 2015. Sono emerse incertezze – risolte dalla risoluzione 92/E del 13 ottobre – sul momento in cui si devono considerarsi soddisfatti i presupposti per la fruizione del credito d’imposta.
Una prima tematica riguarda l’esercizio in cui si considerano effettuati gli investimenti in fondi di private equity.
Di norma gli investitori sottoscrivono un impegno a versare una determinata somma complessiva (commitment) e solo in un successivo momento, su richiesta del gestore, provvedono a effettuare i versamenti necessari al fondo per effettuare i propri investimenti. La risoluzione precisa che l’ammontare che può essere considerato investito ai fini del calcolo del credito d’imposta non è il commitment, ma l’importo effettivamente versato in seguito alla richiesta del gestore.
Un secondo problema deriva dal fatto che spesso, nel corso della vita del fondo, il gestore restituisce agli investitori parte del capitale originariamente versato, riservandosi, se lo prevede il regolamento del fondo, di richiamarlo quando si presentassero nuove opportunità d’investimento. L’articolo 2, comma 2 del provvedimento dispone che le attività di carattere finanziario che danno luogo al credito d’imposta devono essere detenute per almeno cinque anni e che, in caso di cessione o di scadenza dei titoli oggetto di investimento prima del quinquennio, il corrispettivo conseguito va reinvestito in attività agevolabili entro 90 giorni. La risoluzione chiarisce che l’obbligo di reinvestimento riguarda anche i rimborsi temporanei. Opportunamente la risoluzione conferma che quando non sia possibile collegare il rimborso all’originario investimento (come di norma avviene per gli investimenti in fondi di private equity) si devono considerare rimborsati per primi i capitali versati per primi (metodo Fifo); corollario di questa soluzione è che se l’ente aveva già effettuato investimenti entro il 31 dicembre 2014 (non agevolati), successivamente ne ha effettuati altri nello stesso fondo comune e, dopo ancora, riceve un parziale rimborso, questo – fino a concorrenza degli investimenti fatti fino al 31 dicembre 2014 – non diminuisce lo stock degli investimenti effettuati dal 2015 e quindi non comporta l’obbligo di reinvestimento.
Più complessa è la terza casistica sottoposta all’Agenzia, relativa all’investimento in start up. Infatti, una delle condizioni di spettanza del credito d’imposta è che l’investimento sia effettuato in società che operino in prevalenza nei settori infrastrutturali indicati nel decreto. Ma se l’investimento è effettuato in start up (o, come nel caso del quesito, in società finanziarie che investono in start up), è possibile che, al momento del versamento del capitale, la verifica della prevalenza non sia fattibile, non avendo la società e le sue controllate ancora cominciato a operare. In questo caso la verifica è differita a un periodo di imposta successivo e va operata con riferimento sia alle società partecipate, operanti nei settori infrastrutturali, sia alla società finanziaria che le detiene. Ad esempio, nel caso della start up oggetto del quesito, che è essenzialmente una società di investimento, il credito d’imposta relativo agli investimenti effettuati prima del concreto inizio dell’attività diventa fruibile nel primo periodo in cui – avviati gli investimenti infrastrutturali – sia la società finanziaria sia le sue partecipate rispondono al requisito di prevalenza degli investimenti effettuati nei settori infrastrutturali.
SCRITTO DA: Marco Piazza