Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza sulla disciplina prevista dal nostro ordinamento a difesa dei diritti di un erede in caso di lesione della propria quota di successione ad opera di un altro coerede.
Di particolare interesse è soprattutto il caso del titolare di una quota di eredità che ha rinvenuto la illegittima sottrazione di soldi da parte di uno dei coeredi dal conto corrente a questi cointestato cointestato assieme al de cuius.
Il primo aspetto oggetto di riflessione riguarda il rimedio da esperire. L’alternativa su cui si è interrogata la giurisprudenza è quella tra rivendicazione, ovvero azione di accertamento con funzione recuperatoria, e petitio hereditatis ex art. 533 c.c.. La differenza è di grande rilievo, atteso che, come noto, la rivendicazione ha un onere probatorio piuttosto gravoso dovendosi dimostrare tutti i passaggi di proprietà sino alla maturazione dell’usucapione, mentre per la petizione di eredità occorre dimostrare solamente la qualità di erede e la appartenenza del bene al de cuius al momento della apertura della successione.
Sul punto è intervenuta di recente la Suprema Corte di Cassazione con una esemplare ordinanza che, nel ricostruire l’intera disciplina, ha fatto chiarezza affermando il seguente principio di diritto: “la petizione dell’eredità che, ai sensi dell’art. 533 c.c., consente di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, può assumere natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria, ritenendosi che la domanda di divisione dell’asse ereditario – configurando l’azione di cui all’art. 533 c.c. – postula l’accertamento, fra l’attivo ereditario, anche del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede per le somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte” (Cass. civ., Sez. VI – 2, Ord., 24.09.2020, n. 20024).
Ancora più nello specifico in materia di conti correnti cointestati al de cuius, diverse sentenze della giurisprudenza di legittimità hanno affermato che l’azione ex art. 533 c.c. può essere esperita anche per far valere diritti di credito appartenenti al de cuius, anche se derivanti, dall’illegittimo prelievo da parte di un cointestatario, senza tenere conto del rapporto interno che individua la titolarità sostanziale delle somme depositate. Ciò a condizione che tali somme non siano state disposte dal de cuius, ad esempio a mezzo assegno bancario, sulla base di diverso titolo (in questo senso, Cass. 20024/2020, Cass. n. 10577/2001, Cass. n. 14074/2009).
Il secondo aspetto oggetto di interesse riguarda la relazione tra l’azione di petizione ereditaria e l’azione di divisione ereditaria.
Come noto, infatti, con l’apertura della successione ereditaria sorge una comunione ereditaria che, in mancanza di accordo, può essere sciolta con domanda di divisione ex art. 713 c.c..
Ebbene, se l’accertamento della qualità di erede è il presupposto per rivendicare la propria quota ereditaria, il recupero delle somme illegittimamente sottratte dal coerede può avvenire nell’ambito del giudizio di divisione ovvero successivamente allo stesso.
Sul punto la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che tutti gli eredi sono obbligati, oltre che a restituire somme eventualmente sottratte senza titolo al de cuius alla massa ereditaria, anche a rendicontare la gestione dei cespiti patrimoniali avvenuta in seguito all’apertura della successione secondo il principio di buona fede. Conclude in particolare la Cassazione che ai sensi dell’art. 723 c.c. anche dopo la vendita, se ha avuto luogo, dei mobili o degli immobili, si procede ai conti che i condividenti si devono rendere, e, tra l’altro, ai conguagli o rimborsi che essi si devono tra loro, e, quindi, anche alla restituzione dei frutti percepiti dai beni oggetto del giudizio di divisione, dovendo ritenersi la domanda di restituzione dei frutti ricompresa nella suddetta resa dei conti (Cass. civ. Sez. II, Ord., 16.7.2018, n. 18857).
Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza sulla disciplina prevista dal nostro ordinamento a difesa dei diritti di un erede in caso di lesione della propria quota di successione ad opera di un altro coerede. Di particolare interesse è soprattutto il caso del titolare di una quota di eredità che ha rinvenuto la illegittima sottrazione di soldi da parte di uno dei coeredi dal conto corrente a questi cointestato cointestato assieme al de cuius. Il primo aspetto oggetto di riflessione riguarda il rimedio da esperire. L’alternativa su cui si è interrogata la giurisprudenza è quella tra rivendicazione, ovvero azione di accertamento con funzione recuperatoria, e petitio hereditatis ex art. 533 c.c.. La differenza è di grande rilievo, atteso che, come noto, la rivendicazione ha un onere probatorio piuttosto gravoso dovendosi dimostrare tutti i passaggi di proprietà sino alla maturazione dell’usucapione, mentre per la petizione di eredità occorre dimostrare solamente la qualità di erede e la appartenenza del bene al de cuius al momento della apertura della successione.Sul punto è intervenuta di recente la Suprema Corte di Cassazione con una esemplare ordinanza che, nel ricostruire l’intera disciplina, ha fatto chiarezza affermando il seguente principio di diritto: “la petizione dell’eredità che, ai sensi dell’art. 533 c.c., consente di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, può assumere natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria, ritenendosi che la domanda di divisione dell’asse ereditario – configurando l’azione di cui all’art. 533 c.c. – postula l’accertamento, fra l’attivo ereditario, anche del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede per le somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte” (Cass. civ., Sez. VI – 2, Ord., 24.09.2020, n. 20024). Ancora più nello specifico in materia di conti correnti cointestati al de cuius, diverse sentenze della giurisprudenza di legittimità hanno affermato che l’azione ex art. 533 c.c. può essere esperita anche per far valere diritti di credito appartenenti al de cuius, anche se derivanti, dall’illegittimo prelievo da parte di un cointestatario, senza tenere conto del rapporto interno che individua la titolarità sostanziale delle somme depositate. Ciò a condizione che tali somme non siano state disposte dal de cuius, ad esempio a mezzo assegno bancario, sulla base di diverso titolo (in questo senso, Cass. 20024/2020, Cass. n. 10577/2001, Cass. n. 14074/2009). Il secondo aspetto oggetto di interesse riguarda la relazione tra l’azione di petizione ereditaria e l’azione di divisione ereditaria. Come noto, infatti, con l’apertura della successione ereditaria sorge una comunione ereditaria che, in mancanza di accordo, può essere sciolta con domanda di divisione ex art. 713 c.c..Ebbene, se l’accertamento della qualità di erede è il presupposto per rivendicare la propria quota ereditaria, il recupero delle somme illegittimamente sottratte dal coerede può avvenire nell’ambito del giudizio di divisione ovvero successivamente allo stesso. Sul punto la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che tutti gli eredi sono obbligati, oltre che a restituire somme eventualmente sottratte senza titolo al de cuius alla massa ereditaria, anche a rendicontare la gestione dei cespiti patrimoniali avvenuta in seguito all’apertura della successione secondo il principio di buona fede. Conclude in particolare la Cassazione che ai sensi dell’art. 723 c.c. anche dopo la vendita, se ha avuto luogo, dei mobili o degli immobili, si procede ai conti che i condividenti si devono rendere, e, tra l’altro, ai conguagli o rimborsi che essi si devono tra loro, e, quindi, anche alla restituzione dei frutti percepiti dai beni oggetto del giudizio di divisione, dovendo ritenersi la domanda di restituzione dei frutti ricompresa nella suddetta resa dei conti (Cass. civ. Sez. II, Ord., 16.7.2018, n. 18857).